Giuseppe fu portato in Egitto; e Potifar, ufficiale del faraone, capitano delle guardie, un Egiziano, lo comprò da quegli Ismaeliti che ce l’avevano condotto. Il SIGNORE era con Giuseppe: a lui riusciva bene ogni cosa e stava in casa del suo padrone egiziano. Il suo padrone vide che il SIGNORE era con lui e che il SIGNORE gli faceva prosperare nelle mani tutto ciò che intraprendeva. Giuseppe trovò grazia agli occhi di lui e si occupava del servizio personale di Potifar, il quale lo fece maggiordomo della sua casa e gli affidò l’amministrazione di tutto quello che possedeva. Dal momento che lo ebbe fatto maggiordomo della sua casa e gli ebbe affidato tutto quello che possedeva, il SIGNORE benedisse la casa dell’Egiziano per amore di Giuseppe; la benedizione del SIGNORE si posò su tutto ciò che egli possedeva, in casa e in campagna. Potifar lasciò tutto quello che aveva nelle mani di Giuseppe; non si occupava più di nulla, tranne del cibo che mangiava. Giuseppe era avvenente e di bell’aspetto. Dopo queste cose, la moglie del padrone di Giuseppe gli mise gli occhi addosso e gli disse: «Unisciti a me!»
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Sentirsi in prigione è un’esperienza oppressiva; è come sentirsi intrappolati in uno stato in cui si è privati della libertà di movimento, di pensiero e di azione. In questo piano biblico, cercheremo di riflettere proprio su questo concetto, esaminando l’esperienza di alcune persone nella Bibbia che sono state rinchiuse in prigione ingiustamente.
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